A conclusione della “sfreddata” dei giorni scorsi, è in atto un primo e sommario bilancio dei danni cagionati alle coltivazioni, il quale tuttavia potrò essere più chiaro tra alcuni giorni.
Sotto il profilo strettamente meteorologico le gelate occorse in regione non sono state eccezionalmente intense (specie in rapporto ad altri eventi di aprile del passato), e le temperature dell’aria (sottolineo dell’aria e non del termometro) hanno mostrato valori minimi che non hanno superato ed in diversi casi nemmeno avvicinato i record storici del correrne mese, anche se la fase fredda è sconfinata nella terza decade del mese, e qui ci siamo andati molto vicini.
Tuttavia le gelate hanno mostrato una caratteristica poco gradevole, ovvero sono state caratterizzate da valori di umidità relativa molto bassi, anche nelle ore notturne e verso l’alba dovute alle caratteristiche della massa d’aria affluita. Ciò comporta un maggiore raffreddamento degli strati prossimi al suolo, poiché il vapore acqueo ha la proprietà di “schermare” l’effetto dell’irraggiamento radiativo verso lo spazio e quindi di contenere parzialmente la diminuzione della temperatura, per cui meno ce n’è e peggio è (infatti il vapore acqueo si comporta da gas serra, pur essendo naturale).
Le gelate secche, che gli inglesi chiamano “black frost”, sono le peggiori, dal momento che per i motivi di cui sopra può determinarsi un notevole gradiente termico verticale negli strati bassi e nelle zone interessate dalle inversioni termiche, con differenze di diversi gradi tra il livello al quale vengono rilevate per scopo meteorologico le temperature dell’aria (sui 180-200 cm) ed i livelli inferiori; inoltre la secchezza dell’aria comporta una maggiore perdita di calore delle superfici vegetative (che dipendono dai tipi di coltura e dalla estensione della superficie radiante), le quali possono raggiungere temperature sensibilmente inferiori a quelle dell’aria. In caso di brina poi, il passaggio di stato vapore-ghiaccio rilascia una certa quantità di calore (680 cal/grammo) che viene ceduto all’ambiente rallentando pertanto il calo termico.
Ecco perchè ad altezze inferiori a quelle standard usate in meteorologia, potrebbero essersi raggiunti valori inferiori anche di 3°C e passa rispetto a quelli rilevati dalle capannine o sistemi di acquisizione, ed ecco perchè la gelata senza brina non è affatto un buon segno (in senso generale chiaramente). Influenti anche la tipologia di terreno ed altri fattori.
Determinanti, in senso negativo, anche gli elevati picchi di temperatura occorsi nella settimana precedente (massime fino a 26-27°C degne si inizio giugno).
In pratica i danni effettivi non dipenderanno unicamente dalle temperature dell’aria raggiunte ad altezze standard e si valuteranno con maggiore affidabilità più avanti.
Freschino? …ma certo!
L’aria fredda che affluisce da ieri dalle repubbliche baltiche e che continuerà ancora domani e dopodomani si fa sentire.
Ma dobbiamo considerare questa parentesi fredda fortemente anomala? No.
O meglio, potrebbe esserla se consideriamo l’attuale decennio inaugurato n el 2011 durante il quale il mese di aprile era trascorso generalmente senza particolari “scossoni”, ma in precedenza non era affatto così, e nella seconda decade di aprile irruzioni fredde di una certa consistenza erano piuttosto frequenti.
Non a caso in molte località della regione i dati medi climatologici del trentennio 1961-1990, ma in parte anche del trentennio 1971-2000, mostrano una seconda decade di aprile durante la quale le temperature medie smettono di aumentare (come sarebbe da attendersi nella naturale evoluzione della primavera) o addirittura mostrano un leggero calo rispetto alla prima decade.
Ciò perché evidentemente le medie climatologiche conservano l’impronta di frequenti irruzioni fredde che in questo periodo della stagione si verificavano e che rappresentavano un temporaneo ritorno a condizioni para o simil invernali, anche se ovviamente di breve durata.
E allora tornano alla mente, considerando solo quelle occorse nella seconda decade del mese per adeguarle al periodo attuale, le severe ondate di freddo del 20-22 aprile 1980; 19-20 aprile 1981; 14-15 aprile 1982; 14-15 aprile 1986 (molto intensa); 19-24 aprile 1991 (questa anche prolungata); 18-19 aprile 1992; 10-11 aprile 1994; 14-16 aprile 1995; 9-23 aprile 1997 (cattiva e promulgata salvo brevi pause); 14-16 aprile 1998; 14-22 aprile 2001; 11-12 aprile 2006; 12-13 aprile 2010.
E qui la serie si interrompe poiché effettivamente dal 2011 in poi non si ebbero “botte” fredde quantomeno di rilievo, dimenticando pertanto che in passato questo periodo non era affatto al riparo da importanti ritorni di freddo.
Quindi fase fredda anomala se fermiamo lo sguardo agli ultimi 6 anni; per nulla anomala ripensando al passato (anni 70-80-90 ma anche ben più indietro nel tempo); peraltro se l’evoluzione sarà quella prospettata dagli NWP, quella attuale non sarà nemmeno tra le più forti, anzi tutt’altro.
Un altro segno dei tempi che cambiano ed un monito sul fatto che la vera e seria anomalia erano i 26°C di temperatura massima della scorsa settimana.
La calda primavera romagnola del 2017
La primavera romagnola 2017 sta scorrendo caldissima (che strano, novità assoluta) ma anche poco piovosa (anche se ci sono aree messe ben peggio).
Ed allora ecco che proprio ieri sera l’interlocutore di turno, uno di quei tuttologi che pontifica su tutto lo scibile dell’orbe terracqueo, dai trattori alle meringhe, dalla fisica delle particelle alla cucina ghanese, dalla fauna alsaziana alla pittura monocromatica… estrae dal repertorio il puntuale luogo comune:
“Beh, ma comunque non c’è da preoccuparsi: sta per arrivare Pasqua, ed a Pasqua piove, è sempre stato così”.
Ora, nell’imminente periodo pasquale 2017 potrebbe anche piovere così come no (avremo idee più chiare domani), ma sta di fatto che di luogo comune si tratta.
Infatti delle ultime 30 Pasque romagnole (inclusa la Pasquetta), 16 sono state caratterizzate da tempo buono, vale a dire assenza di piogge, temperature allineate alla norma o superiori (quindi non fredde), e buon soleggiamento; mentre le rimanenti 14 hanno effettivamente mostrato tempo instabile o perturbato.
Teniamo anche conto del fatto che Pasqua cade in periodi diversi, quindi non si presta a particolari analisi di tipo climatologico.
Comunque i rapporti stanno 53.3% contro 46.7% a favore di Pasque e Pasquette con tempo buono.
Potremmo ragionevolmente affermare che si tratta di un quasi pari e patta tra bello e brutto tempo, ma non si può certo affermare che “a Pasqua è quasi sempre brutto”.
Peraltro queste percentuali così vicine tra loro non devono stupire: la Pasqua arriva in primavera, e la primavera, in quanto stagione di transizione, è tipicamente variabile, con stretta alternanza di periodi stabili e perturbati (a parte le singole annate).
Ma perché allora si sente dire così spesso “tanto a Pasqua sarà brutto”?
La risposta è sempre quella ed è da ricercare nella nostra mente: tendiamo a ricordare maggiormente l’evento sfavorevole o che ci lascia contrariati.
Una Pasqua bruttarella ci manda a ramengo la scampagnata, il barbecue all’aperto, la passeggiata sulla battigia, il beach volley in spiaggia dopo una autoclave di cappelletti, mezzo allevamento intensivo di faraone, un silos di latte imperiale e due cisterne di sangiovese (pertanto con associato colpo apoplettico a metà del primo set).
Mentre dimentichiamo alla svelta la Pasqua bella e stabile, perché in fondo tutto è andato come desiderato e non ci sono stati intoppi legati al tempo.
Ma in realtà anche “tanto per Pasqua piove sempre” è un luogo comune non supportato dai fatti (o meglio dai dati) …e non è una differenza da poco.
Prove tecniche di primavera
Obiettivo: riuscire ad innescare qualche isolata cella temporalesca sulla bassa pianura.
Coefficiente di difficoltà: 6.0 (pari ad un tuffo dal trampolino con 4 avvitamenti, 4 salti mortali carpiati ritornati, più un axel ed un rittberger da pattinatore già che ci siamo).
Equipaggiamento preventivo: minimo sindacale di attività convettiva ad innesco orografico nel pomeriggio su Prealpi ed Appennino; Un pizzico di fresco con carica “dall’alto” (cut-offino teutonico che si approssima alle Alpi con mezzo etto scarso di vorticità positiva a traino).
Svolgimento dei lavori: la convezione orografica dovrà impegnarsi per produrre adeguati cold pool (la piscina fredda non c’è solo a Milano Marittima) e relativi outflow boundary (che non è la marca di un dentifricio) con diffusione “a ventaglio” (1 e 2 in figura).
Essi dovranno incamminarsi verso le rispettive valli e darsi appuntamento in un’area da concordare.
Se poi volessero anche raffreddare un po’ la medio-alta troposfera ben vengano; basta l’incudine e non serve il martello.
Nel frattempo il “coastal PBL” (3) tipicamente aprilino, stabilizzato dal basso dalle fresche acque superficiali adriatiche, dovrà a sua volta procedere (con tatto) verso l’entroterra soffiando un po’ di CAPE (non sante, quelle rimangono in mare) verso il luogo di appuntamento dei due OB (niente paura ragazze, l’assorbenza c’entra nulla).
Tutti quanti dovranno contribuire a concentrare una manciata di energia convettiva potenziale disponibile in spazi più angusti aiutando un pizzico a motivare i moti verticali, magari indotti un pelino anche dalla convergenza dei due OB.
Cantiere: pianura emiliana, meglio quella settentrionale al netto degli “umarèl”.
Target: tramonto o serata, non nottata, perché in quel caso il merito se lo attribuirebbero le truppe tedesche alla conquista del Piemonte che sarà completata domattina.
Un po’ di CAPE dovremmo avviarlo nel pomeriggio (vedi rs previsto, anche se da global model e riferito al most unstable, quindi si bara un pizzico); vediamo di distribuirlo e concentrarlo al meglio.
Ci sono anche i MULI (no, niente equini), ovvero Most Unstable Lifted Index, ma quelli ce li teniamo per le grandi occasioni.
Probabilità: se la montagna, specie Alpi e Prealpi, non si darà da fare sono le stesse che ha il Milan attuale (o meglio, il Giannino food & karaoke) di battere il Bayern 2-0 all’Allianz Arena. Talora poi i LAM eccedono uno zinzello nel simulare gli effetti degli outflow boundary orografici a mano a mano che ci si allontana dal core delle celle convettive.
Ma sono prove tecniche per l’appunto.
Passaggio di consegne
In queste ore mettiamo in atto il passaggio di consegne: Il cut-offino in quota (L), svezzato e poi abbandonato sulle nostre lande dalla più vasta circolazione ciclonica chiusa ad ovest della penisola iberica (a sinistra nel forecast del vento sul piano isobarico di 700 hPa), vaga un po’ smarrito e spaesato alla ricerca di compagnia in una domenica di primavera.
Ci penserà quella saccatura in approfondimento da nord-est attraverso i paesi danubiani (a destra nella stessa immagine) a prenderlo per mano ed accompagnarlo dapprima verso l’Italia centrale finendo poi domani la scampagnata sulle spiagge del basso Adriatico e dello Ionio.
Anzi, all’altezza dell’Abruzzo lo introdurrà nel proprio marsupio a mò di canguro, e la nuova compagnia gli farà bene rendendolo un poco più dinamico e vispo.
Meglio così, la solitudine a volte è una brutta bestia.
climatologia dell’attività temporalesca in Romagna
Nella prima parte della primavera si comincia di norma con l’attività convettiva (temporali), con una netta prevalenza sulla fascia collinare e pedecollinare e nelle ore pomeridiane e fino al tramonto.
La climatologia dell’attività temporalesca in Romagna (peraltro un poco scarna e comunque inerente un periodo recente e non molto esteso, in tal senso aiutano gli archivi dell’attività ceraunica), indica che però in questo periodo c’è una sensibile differenza tra l’l’attività convettiva, segnatamente quella ad evoluzione diurna e non legata ai fronti, della zona collinare e pedecollinare e quella delle basse pianure e costa; gap che tende leggermente ad assottigliarsi a mano a mano che ci si addentra nel periodo estivo.
La prima causa è del tutto intuitiva: è chiaro che l’orografia, per tutta una serie di motivi, aiuta e forza i moti convettivi a ciclo diurno.
C’è però una seconda causa che, specie ad inizio primavera ha una sua importanza: infatti le acque superficiali del mare Adriatico hanno ancora una temperatura relativamente bassa, eredità dell’inverno, e quando nelle ore pomeridiane si attivano le brezze marittime, talora anche vivaci dato il sensibile gradiente termico mare-entroterra (con quest’ultimo che si riscalda alla svelta), esse portano aria più fresca, umida, ma anche più stabile verso l’interno, sequestrando l’energia convettiva potenziale disponibile (CAPE) e “spazzandola” nel contempo verso ovest a ridosso dei rilievi e della pianura pedecollinare.
In quelle aree si organizza pertanto una sorta di CAPE convergence (affratelliamolo ad un moisture convergence) tra quello stagnante in loco entro il PBL collinare e pedecollinare e quello “spinto” ad occidente dalle brezze marittime. Nelle zone interessate dalla brezza i bassi strati si stabilizzano a partire dalla costa e gradualmente sempre più ad ovest.
Anche i Limited Area Model vedono ovviamente tutto ciò, e, solo per fare un esempio, si nota nel forecaast AROME 1.5 km che nel pomeriggio i venti marittimi, più freschi e stabili, provvederanno a “ramazzare” il MUCAPE (most unstable), evidenziato in colori dall’azzurro al giallo-arancio, verso ovest accumulandolo ed addossandolo già ove era presente nella zona collinare e pedecollinare.
In poche parole in primavera, specie nella prima parte, anche il mare contribuisce ad avere una maggiore attività temporalesca sui nostri rilievi appenninici e sulla fascia pianeggiante pedecollinare. A meno che non transitino fronti, ULL, dry-line e company, ma quello è un altro paio di maniche. Oppure le correnti occidentali o sud-occidentali in quota possono pilotare i sistemi convettivi appenninici verso la bassa pianura e costa, ma giungono indeboliti, perchè nei bassi strati la benzina non c’è e le correnti convettive non si rinnovano e nemmeno ricicciano.
Tra il dire ed il tuonare c’è di mezzo anche il mare, parafrasando.
Pierluigi Randi
meteoromagna.com
Giornata Mondiale della Meteorologia a ROMA
Anche la meteorologia festeggia (ebbene sì), ed il 23 marzo (giovedì) ricorre la giornata mondiale di questa disciplina.
La celebrazione ricorre ogni anno nell’anniversario della fondazione, avvenuta nel 1950, dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM).
Segnalo pertanto l’appuntamento a Roma presso l’Aula Magna del Rettorato della Sapienza Università di Roma. Il tema di quest’anno è: “Capire le nubi”.
A me piacciono particolarmente quelle un po’ “minacciose” dato che me ne occupo, diciamo così, per “deformazione professionale”, ed anche se talora un poco inquietanti anch’esse meritano un augurio.
Pur sempre espressione della natura sono.
Principio di Primavera 2017
Cominciano a fiorire con maggiore continuità ed estensione i valori over 20°C in regione, complici la presenza di alta pressione, specie in quota associata a flussi nord-occidentali miti e secchi, ed un PBL padano che comincia a scaldarsi rapidamente (anche in virtù di suoli non proprio “intrisi” ecco) pure in questo caso in associazione ad aria alquanto secca.
La fascia costiera invece vive una storia del tutto diversa che è comunque tipica della primavera: le acque superficiali dell’Adriatico sono ancora fredde per l’eredità dell’inverno meteorologico da poco terminato (l’acqua è “pigra” si riscalda e si raffredda lentamente), e le brezze che si attivano dalla tarda mattinata a causa dell’elevato gradiente termico tra superficie del mare fredda ed entroterra caldo (con l’aria calda che tende a salire e deve essere quindi rimpiazzata) spingono masse d’aria più fresca, ma anche assai più umida (fascia verde-blu nella mappa del LAM Arome, plot Infoclimat), a contenere l’aumento delle temperature sui litorali con ventilazione orientale.
Insomma, in questo periodo se vogliamo beneficiare appieno del tepore primaverile, meglio non andare al mare, poiché troviamo, in condizioni stabili come quelle attuali e nelle ore pomeridiane, circa 5-6 gradi in meno ed un buon 40% di umidità in più (che non aiuta).
Per la cronaca in questo periodo dovremmo avere, nelle zone interne, temperature massime sui 14 massimo 15°C, per cui 5-6°C di troppo ci sono; ed i venti gradi di temperatura massima “costanti” dovremmo sperimentarli verso l’inizio della terza decade di aprile (nel trentennio 1961-1990 alla fine della terza decade di aprile o nella prima decade di maggio, peraltro).
Siamo in anticipo di un mesetto abbondante, così per dire.
Aria frizzantina…
Tempo asciutto e mite in questo periodo a parte di notte ed all’alba quando la perdita di calore per irraggiamento radiativo in condizioni di cielo sereno, poco vento ed aria alquanto secca, portano aria frizzantina con qualche lieve brinata nelle zone nelle pianure interne (ma più ieri che oggi).
Ben diversa la situazione esattamente di 55 anni fa, quando una severa (per il periodo stagionale) irruzione di aria artica andò ad innescare un profondo minimo depressionario in rapida fuga dal Tirreno settentrionale allo Ionio, con presenza di fortissimi venti di bora.
Il ramo occluso del sistema frontale generatosi in seno alla ciclogenesi fece arrivare la neve anche su alcune aree della pianura occidentale ravennate e su forlivese e cesenate, anche con accumulo al suolo. Più abbondante la neve sui rilievi causa stau orografico per correnti da NE.
Il raffreddamento che ne seguì, sia per cause avvettive che per effetto dell’irraggiamento radiativo fu notevole, in particolare nei comparti interessati da deposito di neve al suolo.
In alcune zone della prima collina romagnola si sfiorarono i 10°C sotto lo zero di temperatura minima, ma notevole fu il valore di -6.4°C a Cesenatico.
Insomma l’inverno ritornò e, anche se per qualche giorno, fece sul serio.
Pierluigi Randi
Meteoromagna.com
Inverno 2016-2017 in Romagna: leggermente mite e poco piovoso
La stagione invernale 2016-2017, da poco conclusa sotto il profilo meteorologico, è risultata in Romagna (temperatura media stagionale), leggermente più mite rispetto alla norma climatologica di periodo 1971-2000, con una anomalia termica positiva di +0,5°C, ascrivibile alle seguenti anomalie mensili:
Dicembre 2016: +0,3°C; gennaio 2017: -1,0°C; febbraio 2017: +2.3°C.
In tal senso l’inverno 2016-2017 si colloca come il diciottesimo più mite a partire dal 1950 a pari merito con quelli del 1958-1959 e del 2007-2008, ma certamente più freddo rispetto ai tre che lo hanno preceduto, che non a caso risultano, in compagnia del 2006-2007, come i più miti degli ultimi 70 anni.
Anomalie di temperatura media invernale in Romagna dal 1950 rispetto al clima 1971-2000. Fonte dati: campione di 20 stazioni Arpa-SIMC/ASMER
Di notevole interesse il dato di anomalia termica di febbraio 2017, ovvero il più mite dei tre mesi invernali, che con un valore di anomalia di +2,3°C su base regionale, appare come il settimo più caldo dal 1950.
Dicembre 2016, sostanzialmente nella norma, ha però mostrato sensibili diversificazioni tra il comparto appenninico, laddove è risultato alquanto mite e con anomalie talora superiori a 1°C, ed il settore pianeggiante e costiero, laddove persistenti inversioni termiche con frequenti nebbie, grazie al prevalere di alte pressioni, hanno contribuito a limitare in parte gli scarti termici positivi dalla norma.
Solo il mese di gennaio 2017 ha evidenziato generali anomalie termiche negative con un valore medio regionale di -1,0°C che lo pone come il più freddo dal 2010 dopo una serie di mesi di gennaio estremamente miti (2014-2015-2016). Occorre peraltro precisare come, a differenza di altre regioni della penisola, sul nostro comparto il suddetto mese non possa affatto considerarsi come particolarmente freddo, con fase rigida di un certo rilievo limitata al periodo 6-17 con picco nel periodo 6-12 e con temperature minime assolute localmente appena inferiori a -10°C sulle zone di pianura interna del lughese e faentino. Si tratta i valori minimi assoluti tutt’altro che estremi, e che negli inverni di qualche decennio fa venivano regolarmente raggiunti e sovente superati.
Una seconda ma debole fase fredda, peraltro indotta essenzialmente da insistenti inversioni termiche sia tipo radiativo che da subsidenza (alte pressioni) e quindi limitata all’area pianeggiante e pedecollinare, si è avuta nel periodo 13-19 dicembre 2016 con diffusi fenomeni di galaverna tra i giorni 17 e 18.
Praticamente assenti le fasi fredde in febbraio 2017, con un decorso mensile del tutto caratterizzato da condizioni miti o molto miti, le quali hanno abbondantemente controbilanciato il relativo freddo del precedente gennaio.
Ad ogni buon conto, nonostante una leggera mitezza complessiva, la stagione invernale 2016-2017 non può essere accostata, sotto il profilo termico, alle mitissime invernate che hanno caratterizzato il periodo recente, quando si sono avuti tre dei quattro inverni più miti degli ultimi 100 anni.
Nell’unica vera fase fredda dell’inverno prima accennata le aree del continente europeo maggiormente interessate dall’irruzione di aria artica proveniente da NNE sono risultate soprattutto l’Europa orientale, con particolare riferimento al comparto balcanico, fino a colpire anche il settore centrale e meridionale adriatico dell’Italia, interessando però solo marginalmente la Romagna, come si evince dalla seguente mappa di distribuzione delle anomalie termiche del mese di gennaio (riferimento climatologico 1981-2010) nella quale le aree con le anomalie termiche negative più consistenti conservano traccia della forte irruzione occorsa tra la prima e la seconda decade del mese.
Anomalia termica in °C su Europa gennaio 2017 rispetto al clima 1981-2010. Fonte: reanalisi NCEP karstenhaustein.com/reanalysis
L’aspetto che ha maggiormente contribuito ad un decorso stagionale leggermente mite e con anomalie termiche positive non paragonabili a quelle occorse nei tre inverni precedenti, è da ricercare in una anomalia barica positiva (pressione più alta rispetto alla norma) su gran parte del continente europeo ma con i massimi di anomalia a nord dell’arco alpino (tra Germania e Mare del Nord). In tal modo qualche afflusso di aria più fredda, ma essenzialmente nel mese di gennaio, è riuscito a rientrare da NE convogliato dai massimi di alta pressione attivi più a nord, colpendo peraltro maggiormente le regioni meridionali e centrali adriatiche.
Una tale dislocazione dei centri di anomalia barica (mappa seguente) ha generato lunghe fasi anticicloniche sulla nostra penisola con temperature via via più basse procedendo da nord verso sud.
Anomalia barica in hPa su Europa inverno 2016-2017 (rispetto a clima 1971-2000). Fonte: NCEP/NCAR Reanalisys
Solo in febbraio un vasto canale depressionario di provenienza atlantica è riuscito a forzare a sud le insistenti alte pressioni, favorendo l’ingresso sul bacino del Mediterraneo di alcune onde depressionarie provenienti da ovest o sud-ovest all’origine di brevi periodi instabili ma in prevalenza miti data la provenienza oceanica o talora mediterranea delle correnti, alternati a pause anticicloniche più asciutte e stabili ma ugualmente miti.
Dopo un dicembre 2016 in gran parte anticiclonico e con precipitazioni scarse o molto scarse, salvo un breve episodio il giorno 20; la precipitazioni sono proseguite assai scarse e ben al di sotto della norma nel gennaio 2017; mentre il febbraio 2017, grazie ad un maggior intervento delle correnti umide atlantiche o mediterranee, ha mostrato una piovosità all’incirca entro la norma climatologica (1971-2000) o più spesso superiore, ma ben lontana dai piovosissimi mesi di febbraio 2015 e 2016.
A livello stagionale, mediando le anomalie pluviometriche in percentuale occorse nei tre mesi della stagione, emergono i seguenti dati: dicembre 2016 molto asciutto con anomalia pluviometrica di -66,4%; gennaio 2017 altrettanto secco con anomalia di -50,8%; febbraio 2017 con precipitazioni in ripresa ed anomalia mensile di +36,9%, anche se le anomalie positive maggiori si sono concentrate su ravennate e riminese (fino a +50/+60% su ravennate nord-occidentale).
Ne consegue una anomalia stagionale di precipitazione di -27,5% che definisce l’inverno 2016-2017 come poco piovoso. In tal senso si tratta del primo inverno scarsamente piovoso dopo le precedenti quattro stagioni nelle quali prevalsero nettamente anomalie pluviometriche positive anche di un certo rilievo (2012-2013; 2013-2014; 2014-2015; 2015-2016). In pratica le discrete piogge di febbraio 2017 non sono risultate sufficienti a controbilanciare le scarse precipitazioni di gennaio 2016 e dicembre 2015.
Chiaramente con il decorso poco piovoso dell’inverno appena concluso sono state praticamente assenti le nevicate in pianura e lungo la costa, a parte una comparsa, e con trascurabili al suolo, sui settori pianeggianti del comparto settentrionale ed occidentale e sulla costa ravennate in corrispondenza dei giorni 13 e 15 gennaio. Nevicate un poco più consistenti sono occorse altresì sulla fascia appenninica nei giorni 16-17 gennaio ma senza estendersi alle limitrofe pianure. La fase fredda più intensa di gennaio è stata infatti accompagnata da masse d’aria assai secca in un regime anticiclonico, e pertanto poco inclini a generare sistemi nuvolosi e precipitazioni, salvo brevi rovesci di neve sulla costa riminese ma non associati a depositi al suolo.
Ovviamente, in base a questi riscontri, su tutta l’area pianeggiante e costiera della Romagna l’inverno 2016-2017 ha mostrato una nevosità molto inferiore alla norma climatologica (1961-2010), e ciò riguarda il quarto inverno consecutivo; aspetto che trova pochi precedenti nelle serie storiche inerenti questo particolare parametro.
Archiviamo pertanto un inverno solo leggermente mite, e quindi non sui livelli dei tre precedenti, e poco piovoso/nevoso, governato, specie primi due mesi della stagione, da insistenti alte pressioni.
Proprio il deciso prevalere delle condizioni anticicloniche, associate a scarsa ventilazione ed a ostinate inversioni termiche, ha favorito il verificarsi di frequenti e persistenti nebbie su aree pianeggianti e costiere particolarmente in dicembre 2016, anche se non ai livelli del dicembre 2015 che in alcune aree della pianura lughese vide giornate con nebbia in numero di 29-30 giorni su 31, limitandosi ad una ventina di giornate, dato comunque di un certo rilievo.
P. Randi